sabato 22 febbraio 2014

coraggio e semplicità

... le prime due parole opportune che ho sentito da parte di Matteo Renzi che oggi si insedia.
Per questo non c'è che fargli tanti auguri!

giovedì 13 febbraio 2014

la bellezza

Come si può mettere attorno alla BELLEZZA  la protezione della natura,   la salute umana, ma anche  l’etica pubblica e la moralità individuale. 
Su La Repubblica di ieri 12 febbraio, così Salvatore Settis scriveva:


La BELLEZZA SALVERÀ La santa alleanza di ambiente, paesaggio e cultura

«È urgente elaborare un pensiero comune pratico, uno stesso insieme di convinzioni volte all'azione, innescata dal bene comune e indirizzata alla politica». Sono parole di Jacques Maritain all’Unesco, nel clima della guerra fredda (1947). Ma valgono ancora oggi come un’agenda minima per reagire alla devastazione della natura, al cieco accanimento con cui (gli italiani in prima linea) continuiamo a distruggerla cannibalizzando ambiente e paesaggi. Si suol dire che «la bellezza salverà il mondo». Sono parole che Dostoevskij (nell’Idiota) mette in bocca al principe Myškin, e che in quel contesto hanno un contenuto intensamente mistico. Ma non dobbiamo usarle come un mantra auto-assolutorio: dovremmo sapere, invece, che la bellezza non salverà il mondo se noi non sapremo salvare la bellezza.
Intuizioni religiose e pensiero laico devono convergere, secondo le parole di Maritain. Proviamo a darne qualche esempio. Isaia 5,8: «Guai a voi che ammucchiate casa su casa e congiungete campo a campo finché non rimanga spazio e restiate i soli ad abitare la Terra. Ha parlato alle mie orecchie il Signore degli eserciti: “Edificherete molte case ma resteranno deserte per quanto siano grandi e belle e, non vi sarà nessuno ad abitarle”». Parole che paiono scritte per l’Italia di oggi, dove si edifica “casa su casa” in nome della favoletta secondo cui solo l’edilizia è motore di sviluppo; ma i 5 milioni di appartamenti invenduti e la cementificazione del territorio senza nessun rapporto con l’inesistente crescita demografica dimostrano che non è così. Al di là di questa suggestione, il passo di Isaia evidenzia efficacemente il contrasto fra crescita delle case e devastazione dei campi coltivati.
Altro esempio tratto dai libri sacri, il detto Ama il prossimo tuo come te stesso, che è già nel Levitico e poi nei Vangeli. Commentandolo, Enzo Bianchi ha scritto che questo precetto «non basta più; oggi bisogna dire: “Amerai la Terra come te stesso”»; perché la Terra non è «uno scenario per l'uomo, ma costituisce una comunità la cui relazione è stretta e decisiva per gli animali, per le piante, per noi. In cui uno stesso spazio è condiviso ed abitato ed in cui vive un unico destino, in cui ci deve essere solidarietà per abitare armoniosamente in pace la Terra ». Ma che cosa voleva dire Nietzsche, quando (in una pagina del Così parlò Zarathustra) scrive: «Il vostro amore del prossimo è cattivo amore per voi stessi. Vi consiglio io forse l'amore per il prossimo? No; io vi consiglio la fuga dal prossimo e l'amore verso i più lontani; perché più nobile dell'amore per il prossimo è l'amore per i più lontani e per l'avvenire. Il “futuro” e “quel che è più lontano” siano dunque, per te, la causa che genera l'oggi». Dietro l’apparente svalutazione del precetto evangelico emerge la sua radicalizzazione: in nome della superiorità del futuro sul presente, Nietzsche suggerisce che dobbiamo amare non tanto i “prossimi”, troppo simili a noi, bensì i lontani: soprattutto i lontani nel tempo, le generazioni future. È per loro che dobbiamo preservare la Terra.
Nella vivace discussione sui diritti delle generazioni future, i temi ricorrenti sono la protezione del clima e dell’atmosfera, la conservazione della biodiversità, la tutela dell’ambiente, la gestione delle fonti di energia e dei rifiuti, il controllo delle biotecnologie, la tutela del patrimonio culturale. Il nesso forte tra bellezza e salute (del corpo e della mente), e dunque fra “paesaggio” e “ambiente”, è parte essenziale di questa storia, che ha radici assai antiche. In un trattato attribuito a Ippocrate, Arie acque luoghi (fine del V secolo a.C.) è chiaro il nesso fra malattia e ambiente; perciò le patologie vi sono distinte fra “comuni” a tutti e “locali”, cioè legate a infelici condizioni ambientali. Fu questa una preoccupazione costante della medicina greca, e non solo: un decreto di Atene del 430 a.C. vietava «di mettere i pellami a imputridire nel fiume Ilisso, di praticare in quell’area la concia delle pelli e di gettarne gli scarti nel fiume». Nello stesso spirito, Platone scrive nelle Leggi che «l’acqua si inquina facilmente; perciò è necessario proteggerla per legge. E la legge deve punire chiunque corrompa l’acqua sapendo di farlo, condannandolo a pagare un’ammenda e a ripulire l’acqua a proprie spese».
Oggi dobbiamo ripetere gli stessi identici principi, ma estendendo enormemente lo sguardo. Nessun crimine ambientale è abbastanza lontano da noi da poterlo ignorare: non la deforestazione in Brasile, non il “continente di plastica” (grande quattro volte l’Italia) che galleggia nel Pacifico, non la distruzione di specie vegetali e animali nel Madagascar, non le conseguenze dei disastri nucleari in Ucraina e in Giappone. In questo pianeta senza vere lontananze, “l’amore verso i più lontani” fa tutt’uno con la cura per noi stessi. Ma le generazioni future hanno davvero diritti, anche se non sono in grado di rivendicarli? E in nome di che cosa noi dobbiamo rappresentare oggi i loro diritti di domani?
Distinguiamo, come facevano i Romani, gli immutabili principi del Diritto ( ius) dalla mutevole varietà delle leggi ( leges), calibrate ad arbitrio dei governanti. Orientiamo la bussola sulle istanze di fondo di un alto sistema di valori incardinato sulla protezione della natura e della salute umana, ma anche sull’etica pubblica e la moralità individuale. Le singole leggi possono conformarsi o meno a questi alti principi, ma quando non lo fanno la disobbedienza civile è un dovere. Disobbedienza ispirata dalla nozione di pubblico interesse, che rilancia temi assai antichi: perché quando gli antichi Statuti dei Comuni e le leggi degli Stati preunitari parlavano di bonum commune o di publica utilitas avevano di mira proprio i diritti delle generazioni future, ed è per questo che hanno costruito per noi le città che abitiamo, i paesaggi che andiamo devastando.

Nel suo Principio responsabilità (1979), Hans Jonas scrive che «la comunanza dei destini dell’uomo e della natura, riscoperta nel pericolo, ci fa riscoprire anche la dignità propria della natura, imponendoci di conservarne l’integrità ». È «l’imperativo ecologico», che secondo Peter Häberle comporta «un nuovo sviluppo dello Stato costituzionale, che deve ormai assumere responsabilità verso le generazioni future, e perciò è obbligato a tutelare l’ambiente, deve cioè diventare uno Stato ambientale di diritto ». È di qui che nascono la nozione di ecocidio e la proposta di creare un tribunale internazionale contro i crimini ambientali. È di qui che ha origine il nesso forte fra diritto ambientale e diritto alla salute, che si sta affermando nelle nuove Costituzioni come quella della Bolivia (2009), che prescrive «un ambiente sano, protetto ed equilibrato» per «gli individui e le comunità delle generazioni presenti e future» (art. 33). Ma la priorità del bene comune è centralissima già nella nostra Costituzione, in particolare nell’art. 9 (tutela del paesaggio e del patrimonio artistico), nel suo intimo nesso con l’art. 32 (diritto alla salute), evidenziato dalla Corte Costituzionale. Ambiente, paesaggio, beni culturali formano un insieme unitario e inscindibile con la cultura, l’arte, la scuola, l’università e la ricerca. Con esse, concorrono in misura determinante al principio di uguaglianza fra i cittadini, alla loro «pari dignità sociale» (art. 3), alla libertà e alla democrazia. Per la nostra Costituzione, attualissima ma inattuata, la tutela dell’ambiente, del paesaggio, dei suoli agricoli è strumento di libertà e di democrazia. Perciò è triste che si parli tanto di cambiare la Costituzione, e così poco di metterne in pratica i principi e lo spirito."

martedì 11 febbraio 2014

I dieci consigli di Albert Einstein




1. Segui la tua curiosità
“Non ho nessuno talento speciale. Sono solo appassionatamente curioso.”
2. La perseveranza ha un valore inestimabile
“Non mi considero particolarmente intelligente, è solo che mi dedico ai problemi molto a lungo.”
3. Poni il presente al centro della tua attenzione
“Qualsiasi uomo che guida in maniera sicura mentre bacia una bella ragazza è un uomo che non sta dando al bacio l’attenzione che merita.”
4. L’immaginazione è potente
“L’immaginazione è tutto. E’ l’anteprima delle attrazioni che il futuro ci riserva l’immaginazione è più importante della conoscenza.”
5. Non avere paura di sbagliare
“Una persona che non ha mai sbagliato è una persona che non ha mai provato nulla di nuovo.”
6. Vivi nel momento
“Non penso mai al futuro: arriva abbastanza presto.”

7. Crea valore
“Impegnatevi cercando di creare non il successo
ma il valore in quello che fate.”
8. Non essere ripetitivo
“Follia: fare e rifare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati differenti.”
9. La conoscenza deriva dall’esperienza
“Informazione non è conoscenza. La sola fonte di conoscenza è l’esperienza.”
10. Impara le regole e giocherai meglio
“Devi imparare le regole del gioco. E poi devi giocarci meglio di chiunque altro.”



sabato 8 febbraio 2014

sicurezza personale



Ma non intendo quella fisica bensì quella interiore, per cui si dice che una persona si sente sicura!

Dov'è?

Usiamo però la metafora della scalata alpina.

Negli appigli sul percorso o negli strumenti, come gli scarponi indossati!?

Né nell'uno, nè negli altri.

E' dentro la testa dell'alpinista, in quel complesso di desideri, volontà, conoscenze, convinzioni ed esperienze che l'han portato a quella scalata. Appigli e scarponi sono fuori. Ma, pensati da dentro, fan poi la sicurezza.

Così nella vita: ognuno la sicurezza ce l'ha nei sui meccanismi interni, le cose e le persone esterne non gliela daranno mai!
Anche se ciò e chi ha attorno possono essere strumenti per costruirsela. E neppure, per assurdo,  posson creare insicurezza.


mercoledì 5 febbraio 2014

non leggere e non scrivere


Leggere e scrivere. Scrivere e leggere.
Attività che l'uomo moderno fa in modo smisurato e senza un equilibrio con le altre sue attività proprie.
Sopratutto poi con i supporti della rete.
"son tutti che scrivono su facebook, ma chi fa qualcosa dov'è!?" - frase che ho percepito ieri sera da un dispositivo televisivo acceso per caso.
Se scriverò un libro, quel libro, di cui qui  non parlo, vorrei insegnare al mondo che queste due funzioni sono le meno importanti tra quelle che può svolgere l'uomo con la sua attività fisica e presenza sulla terra.
Anzi, senza, l'uomo sta meglio.
è una gran pretesa, la mia, nonchè l'ennesima contaddizione, cioè che per trasmettere questi miei pensieri segreti devo prima scriverli e poi farli leggere.
O non c'è altro modo!?
Basta, spengo il pc, penso al Fedro di Platone dove col mito di Theuth questo dilemma veniva già affrontato. E con l'esempio del fare, spero, troverò un'altra via.

martedì 4 febbraio 2014

tecnologia e povertà

ma che qualcuno se ne accorga!
cose sempre sostenute, facciam sopravvivere chi usa le mani ed i piedi. anzi: sopravviviamo noi.


La tecnologia allarga il gap ricchi-poveri.
Uno studio scagiona Reagan e Thatcher

L'aumento dell'ineguaglianza tra l'1% e il 99% della popolazione non dipenderebbe dalla politiche neoliberiste degli ultimi 30 anni, ma dall'ultima rivoluzione industriale che spazza via posti di lavoro divorando la classe media. Proprio come Kodak e Instagram

La tecnologia allarga il gap ricchi-poveri. Uno studio scagiona Reagan e Thatcher












LONDRA - Tutta colpa di Reagan e della Thatcher. E' questa la risposta di prammatica alle domande sul perché in Occidente il gap ricchi-poveri sia paurosamente aumentato negli ultimi trent'anni e l'ineguaglianza tra l'1 per cento e il 99 per cento della popolazione in Europa e negli Stati Uniti sia diventata più evidente. Ma se la ragione di questo profondo mutamento sociale fosse un'altra? E' la tesi di un libro che fa molto discutere in questi giorni sulle due sponde dell'Atlantico. Si intitola "The second machine age" (La seconda età delle macchine), gli autori sono due accademici americani, Erik Bryniolfsson e Andrew McAfee, e la loro tesi è che la responsabilità di quanto è avvenuto sia da imputare più al progresso tecnologico, in particolare alla rivoluzione digitale, che a reaganismo e thatcherismo.

Naturalmente è vero che tra fine anni '70 e inizio anni '80 il presidente repubblicano e la premier conservatrice, entrambi paladini del neoliberalismo, tagliarono le tasse, ridussero la spesa pubblica, avviarono la deregulation dei mercati finanziari, creando economie forse più dinamiche ma più diseguali. I leader venuti dopo di loro hanno parzialmente corretto il tiro, ma la filosofia è rimasta la stessa, anche dopo il collasso globale del 2007-2008 provocato almeno in parte da tali politiche. La spinta neoliberista, proseguita in diversa misura da Clinton e Blair, può avere contribuito alla globalizzazione, che ha portato maggiore benessere a miliardi
di persone nei paesi in via di sviluppo. Ma è indubbio che ha fatto indietreggiare la classe media occidentale, dove ha colpito molti premiando pochi.

La politica del laissez-faire reaganiano o thatcheriano non è stata adottata in modo uniforme in tutto l'Occidente, notano tuttavia gli autori del libro. Eppure il gap ricchi-poveri è aumentato in modo analogo pressoché in tutta Europa e America del Nord. Anzi, nel loro libro notano che negli ultimi tre decenni la diseguaglianza è aumentata in Svezia, Finlandia e Germania, paesi con una cultura politica e un'economia differenti da quelli di Usa e Regno Unito, più di quanto sia avvenuto proprio negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.

La stagnazione del reddito dei ceti metodi, sostengono i due economisti, in effetti non è cominciata nella Washington di Reagan o nella Londra della Thatcher, bensì in California, dove nel 1980 Bill Gates e Steve Jobs muovevano i primi passi della rivoluzione digitale. E' stato questa svolta tecnologica a infliggere un colpo senza precedenti alle masse, afferma il loro studio. La gente ha sempre temuto che nuove tecnologie rendessero obsoleto il lavoro umano e riducessero l'occupazione, ma fino ad ora era sempre avvenuto il contrario: la rivoluzione commerciale del '700 e quella industriale dell'800 hanno creato più lavoro, non meno, e diffuso più benessere. Ma la rivoluzione digitale è differente. Con essa i posti di lavoro diminuiscono, anziché aumentare. 

Il libro cita un caso tipico. La Kodak, fondata nel 1880, al suo apice aveva quasi 150 mila dipendenti, a cui se ne aggiungevano molti di più nell'indotto. I suoi fondatori sono diventati ricchi, ma hanno offerto lavori qualificati a generazioni di americani della classe media. Instagram, viceversa, fu lanciato nel 2010 da una società di 4 persone. Nel 2012 è stato venduto a Facebook per 1 miliardo di dollari. E Facebook, con un valore immensamente più grande di quanto la Kodak ne abbia mai avuto, impiega in tutto 5 mila persone. Almeno una decina delle quali sono ricchi dieci volte di più di George Eastman, il fondatore della Kodak.

Ecco perché la "seconda età delle macchine" è anche un'era di crescente diseguaglianza. Bastano aziende di pochi programmatori o ingegneri elettronici per creare servizi utili a miliardi di persone e in grado di generare miliardi di utili. Tanti mestieri stanno scomparendo, rimpiazzati dalle macchine: si è cominciato con i lavori più umili, dalla cassiera di supermercato all'impiegato di banca, ma presto potrebbe essere il turno di avvocati, medici e altri professionisti. Coloro che non hanno la capacità o la fortuna di acquisire il know-how necessario a lavorare nelle industrie di élite saranno sempre più tagliati fuori dalle occupazioni ben pagate e gratificanti. La classe media precipiterà sempre più in basso. Il divario tra l'1 per cento e il 99 per cento crescerà. 

Il libro dei due studiosi americani non offre una soluzione al problema: al momento non c'è molto, concludono gli autori del libro, che i leader politici possano fare per invertire questa tendenza. E una recente storia di copertina dell'Economist è giunta alla stessa conclusione: "Cosa può fare la tecnologia ai lavori di domani", s'intitolava, accompagnata dall'immagine di un tornado che sconvolge e spazza via un ufficio di esseri umani seduti alla scrivania.

Il manifesto del contadino

libero adattamento del Manifesto di Wendell Berry

Se amate il guadagno facile, l’aumento annuale di stipendio, le ferie pagate.

Se desiderate sempre più cose prefabbricate,

se avete paura di conoscere i vostri vicini di casa,

se avete paura di morire….

allora nemmeno il vostro futuro sarà più un mistero per il potere, la vostra mente sarà perforata in una scheda e messa via in un cassettino.

Quando vi vorranno far comprare qualcosa vi chiameranno, quando vi vorranno far morire per il profitto ve lo faranno sapere.

Ma tu, amica, amico, ogni giorno, fai qualcosa che non possa entrare nei loro calcoli.

Ama la Vita.

Ama la Terra.

Ama qualcuno che non se lo merita.

Conta su quello che sei e riduci i tuoi bisogni.

Fai qualche piccolo lavoro gratuitamente.

Non ti fidare del governo, di nessun governo, e abbraccia gli esseri umani, nel tuo rapporto con ciascuno di loro riponi la tua speranza politica.

Approva nella natura quello che non capisci e loda questa ignoranza, perché ciò che l’uomo non ha razionalizzato non ha distrutto.

Fai le domande che non hanno risposta.

Investi nel millennio, Pianta sequoie.

Sostieni che il tuo raccolto principale è la foresta che non hai piantato e che non vivrai per sfruttare.

Afferma che le foglie quando si decompongono diventano fertilità: Chiama questo “profitto”.

Una profezia così si avvera sempre.

Poni la tua fiducia nei cinque centimetri di humus che si formeranno sotto gli alberi ogni mille anni.

Metti l’orecchio vicino e ascolta i bisbigli delle canzoni a venire.

Sii pieno di gioia, nonostante tutto, e sorridi, il sorriso è incalcolabile.

Finché la donna non si svilisce nella corsa al potere, ascolta la donna più dell’uomo.

Domandati: questo potrà dar gioia alla donna che è contenta di aspettare un bambino? Quest’altro disturberà il sonno della donna vicina a partorire?

Vai col tuo amore nei campi.

Stendetevi tranquilli all’ombra.

Posa il capo sul suo grembo… e vota fedeltà alle cose più vicine al tuo cuore.

Appena vedi che i generali e i politicanti riescono a prevedere i movimenti del tuo pensiero, abbandonalo.

Lascialo come un segnale per indicare la falsa traccia, la via che non hai preso.

Sii come la volpe che lascia molte più tracce del necessario, alcune nella direzione sbagliata. Pratica la meditazione.

domenica 2 febbraio 2014

cinica ricerca

Ormai mi sento un Diogene.

Non giro ancora di giorno con una lanterna ma, se mi si chiede cosa cerchi, direi che cerco invano ...
qualcuno di sinistra.

Poi, ripassandomi la mia vecchia filosofia, mi ricordo che Diogene di Sinope cercava ...
"l'uomo, l'uomo onesto".

Forse è proprio quello che non si trova più, tantomeno poi se di sinistra.


Diogene di Sinope era un filosofo vissuto ai tempi di Alessandro Magno, cioè ai tempi della prima globalizzazione. Difatti ha sviluppato per primo nella storia il concetto di cosmopolitismo:"sono cittadino del mondo intero!" Nonchè di autocontrollo ed autosufficienza. Nulla più attuale.